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Diego Scaglione: costruire ponti tra Università e imprese per fare innovazione

Abbiamo intervistato Diego Scaglione, Responsabile della Corporate and Continuing Education Unit e della Strategic Agreements and Corporate Relations Unit al Politecnico di Milano. Dalle esperienze pregresse, alle sfide incontrate, fino allo stile di leadership, Diego ci racconta il suo ruolo di “intermediario culturale” tra l’Ateneo e il mondo esterno. Leggi l’intervista completa!

Manager sulla quarantina, capelli neri, occhi marroni e occhiali rotondi. Sorride e ha le braccia incrociate. indossa una camicia bianca e una giacca da vestito blu scuro. Si trova in una balconata interna, con due finestre ad arco che fanno da sfondo.
Data di pubblicazione

Abbiamo intervistato Diego Scaglione, Responsabile della Corporate and Continuing Education Unit e della Strategic Agreements and Corporate Relations Unit al Politecnico di Milano. Dalle esperienze pregresse, alle sfide incontrate, fino allo stile di leadership, Diego ci racconta il suo ruolo di “intermediario culturale” tra l’Ateneo e il mondo esterno.

“La mia è una leadership “emotiva”: attenta alle motivazioni individuali e capace di orientare le energie del team verso obiettivi condivisi. Non solo performance, ma ascolto, dialogo e confronto continuo.”

Diego Scaglione, Head of Corporate and Continuing Education Unit & of Strategic Agreements and Corporate Relations Unit

Per iniziare, ci illustreresti il tuo ruolo al Politecnico e di cosa ti occupi? 

Nel corso degli anni ho assunto un duplice ruolo in Ateneo. Dal 2013 coordino la Corporate and Continuing Education Unit, che si occupa dell’istituzione, della promozione e della gestione della carriera amministrativa di master universitari, corsi di specializzazione e formazione continua rivolti a professionisti.

Parallelamente, dal 2020 guido la Strategic Agreements and Corporate Relations Unit, dove seguiamo lo sviluppo e il mantenimento di partnership strategiche con le imprese creando sinergie che generino valore per la ricerca, lo sviluppo del capitale umano e il trasferimento di conoscenza e tecnologia. E lo facciamo attraverso modelli di collaborazione innovativi e di lungo periodo. 

Un lavoro stimolante. Ma concretamente, come si costruiscono progetti innovativi condivisi?

Nel quotidiano, dare vita a progetti innovativi significa tradurre la visione della governance in azioni concrete. È un lavoro complesso, che richiede – oltre a una profonda conoscenza del mondo accademico e di quello industriale – anche ottime capacità di ascolto, di negoziazione, di analisi e di traduzione strategica. 

Significa trasformare obiettivi complessi in piani operativi condivisi. Ma soprattutto, significa saper “vendere” una visione: spesso ci troviamo a proporre alle aziende idee ancora in fase embrionale, intuizioni che devono essere rese concrete. Convincerle a crederci e a investire è la vera sfida.

Il tuo è un ruolo che richiede competenza ed esperienza. Quali sono state le principali tappe del tuo percorso professionale?

Mi sono laureato in sociologia nel 2005, proseguendo con una specializzazione in marketing politico e territoriale. I primi anni della mia carriera sono stati un vero campo di allenamento: ho iniziato nel settore del placement, come intermediario tra domanda e offerta di lavoro, poi come responsabile commerciale in un ente di formazione e servizi per l’impiego. 

Sono state esperienze fondamentali, che mi hanno permesso di sviluppare competenze comunicative, commerciali e negoziali – oggi centrali nel mio lavoro. All’epoca il digitale non era ancora così diffuso: le relazioni si costruivano attraverso il contatto diretto, partecipando a eventi, creando occasioni di networking, o semplicemente andando a bussare porta a porta. Un approccio che mi ha formato molto e che ho sempre trovato estremamente stimolante.

Quando sei arrivato al Politecnico di Milano e qual è stato l’impatto iniziale?

Ho scoperto il mondo Politecnico del 2010, inserendomi nell’ufficio che offre servizi di orientamento e placement per gli studenti, il Career Service. Qui, mi sono concentrato su due attività principali: da un lato, la reingegnerizzazione della gestione dei tirocini universitari; dall’altro, la costruzione di relazioni con gli stakeholder coinvolti nelle politiche di orientamento e inserimento lavorativo, come istituzioni, associazioni, enti territoriali e ministeriali.

Ho trovato un ambiente dinamico in costante sviluppo, un vero e proprio laboratorio dove è possibile sperimentare e crescere allo stesso tempo. È questo spirito innovativo che mi ha convinto a restare, fino ad arrivare al ruolo che ricopro oggi.

Non solo idee innovative, dunque, ma anche innovazione di processo. Come orienti il tuo team verso nuovi obiettivi?

Cerco di adottare uno stile di leadership che definirei “emotiva”: attenta alle motivazioni individuali e capace di orientare le energie del team verso obiettivi condivisi. Non solo performance, ma ascolto, dialogo e confronto continuo. Abbiamo introdotto momenti strutturati di confronto, come riunioni settimanali e “stanze del tè”, spazi informali in cui riflettere insieme su come stiamo lavorando. Questo approccio ha migliorato il clima del team e rafforzato la coesione interna.

Negli ultimi anni ho anche lavorato per ampliare il gruppo, introducendo nuove risorse junior e favorendo uno scambio intergenerazionale costruttivo. Credo molto nel valore dei giovani e nel loro approccio curioso e positivo verso la realtà. Credo infatti che la curiosità e la positività siano due approcci vincenti in un contesto come quello dell’Università. 

Hai mai incontrato delle sfide lungo la strada verso il cambiamento?

La prima sfida incontrata è stata il passaggio ad un ruolo manageriale: a trent’anni mi sono trovato a guidare un team, rinnovando processi e introducendo una dimensione di maggiore apertura verso il mondo delle imprese. Non avevo competenze nella gestione delle persone e nel fornire loro feedback. L’osservazione attenta e partecipata delle dinamiche di gruppo mi ha aiutato moltissimo in questo percorso. 

C’è un progetto che ritieni rappresenti al meglio la tua visione e il lavoro del tuo team?

Il progetto Smart Eyewear Lab è sicuramente uno dei più significativi. È nato da un accordo con EssilorLuxottica per la creazione di un laboratorio di ricerca congiunto localizzato nel nostro Campus Leonardo, dove oggi lavorano circa 100 persone di Politecnico di Milano e dell’azienda con tecnologie all’avanguardia. L’obiettivo è duplice: da un lato, sviluppare soluzioni innovative per progettare gli occhiali intelligenti del futuro; dall’altro, integrare queste nuove competenze all’interno della didattica dei nostri studenti. Per questo abbiamo co-progettato insieme ad EssilorLuxottica un programma interdisciplinare comune a 8 corsi di laurea magistrale.

Si tratta di una vera e propria rivoluzione, che non solo ridefinisce il modo di concepire il prodotto, ma genera ricadute concrete sul tessuto economico e sociale. Per questo è fondamentale iniziare a formare oggi le competenze che saranno necessarie per sostenere e far crescere l’intera filiera domani.

Cosa ti appassiona di più del tuo lavoro?

Costruire relazioni di fiducia con le imprese e accompagnarle nella scoperta della cultura e approccio del Politecnico. Mi piace pensare al mio ruolo e a quello dei miei team come a un ponte culturale tra l’Ateneo e il mondo esterno. Ho una forte convinzione nel valore del Politecnico e cerco di trasmetterlo ogni giorno, anche contrastando alcuni pregiudizi legati al fatto che sia una pubblica amministrazione. In realtà, qui ho trovato persone estremamente competenti e motivate, e un’organizzazione che — pur muovendosi all’interno di regole e vincoli complessi — è dinamica e orientata al miglioramento continuo.

E fuori dall’orario lavorativo, come occupi il tuo tempo libero?

Da molti anni sono un volontario in Croce Bianca Milano. È un’attività che mi ha insegnato molto sulla gestione del tempo, delle priorità e del lavoro di squadra. Nel pronto soccorso si lavora secondo uno schema molto semplice: briefing, execution e debriefing. Un metodo molto pratico, che ho portato anche nella quotidianità lavorativa per spingere il team a fermarsi a riflettere sul nostro modo di procedere, migliorarsi sempre e non perdere di vista gli obiettivi. 

Un’ultima domanda: perché, secondo te, un/a giovane dovrebbe intraprendere una carriera al Politecnico di Milano?

Bella domanda. Il mio invito è di superare i pregiudizi che spesso accompagnano l’idea di pubblica amministrazione. Il Politecnico è un ambiente stimolante, dove è possibile costruirsi una professionalità seguendo i propri interessi e valori. È anche un luogo che restituisce molto in termini di umanità e di relazioni. Sono questi elementi che lo rendono davvero unico.